Il Prof. Emeritus Juraj Sepčic ci ha gentilmente inviato un estratto della rivista L’Istria, N.35., Anno1 che riguarda alcune osservazioni fatte dall’istriano Tomaso Luciani durante la sua visita a Cherso nel giugno del 1846. L’interesse del professore chersino per le masiere di Cherso ci induce naturalmente  a pubblicare l’inserto della rivista e ad aggiungere alcune riflessioni.

Non capita molto spesso di veder nominata Cherso in circostanze letterarie ed ancor più di rado menzionate le opere che gli agricoltori chersini hanno realizzato nel dover trasformare il loro ambiente naturale. Mi riferisco all’infinità dei muri a secco costruiti per permettere le piantagioni di olveti e vigneti.

Di solito Cherso viene nominata per le sue bellezze naturali, per il suo passato storico legato alla Serenissima, per alcuni personaggi illustri, per le origini di un flosofo e per quelle di molti sacerdoti e vescovi ma mai per ciò che una gran parte della popolazione chersina ha creato.

I monumenti che spesso ammiriamo nelle città o in luoghi da tempo abbandonati sono testimonianze di periodi di ricchezza ed eretti a gloria di individui prominenti siano essi principi, monarchi o industriali oppure a dimostrazione di una supremazia religiosa. Il monumento eretto dagli agricoltori chersini non è niente di tutto questo o è tutto questo ma con contrapposte caratteristiche: non è stato costruito dopo raggiunta ricchezza ma è ricchezza in se e per di più collettiva, non è luogo di preghiera ma santuario del lavoro e sacrificio. Gli agricoltori chersini hanno elevato un monumento a se stessi simbolo di un accumulato lavoro comune.

Hanno creato una monumentalità originale, unica anche nelle sue dimensioni e rapporti con lo spazio circostante occupando lo spazio stesso orizzontalmente invece che verticalmente come di solito accade. Si potrebbe definirla una monumentalità democratica conseguita da individui incalliti in una ostinata fatica.

Un patriotta istriano, esattamente di Albona, Tomaso Luciani così  si esprime dopo una breve visita a Cherso in data 13 giugno 1846:

…. e visitai in brevissimi giorni Cherso… vidi e osservai quanto basta per rimanere persuaso che l’isola di Cherso è per molti rapporti meritevole di essere veduta e studiata….

….. fui contento perciò d’ammirare con istupore misto di compiacenza e di malinconia le ripide e pietrose costiere che da tre lati circondano la città di Cherso, tutte dall’imo al sommo coperte d’oliveti, di vigneti, di ficaie,d’ortaglie; con istupore dissi misto di malinconia pensando ai copiosi e caldi sudori che saranno piovuti dalle fronti di questi laboriosi isolani, prima che abbiano condotto a termine gl’innumerevoli muricciuoli in mille labirintiche guise intrecciantesi a segnal di confine, e più spesso a sostegno della poca terra vegetale che dà alimento alle piante.

Oh! Gente troppo degna di una sorte migliore…. Sorga deh! Sorga presto e rifulga anche sul tuo basso orizzonte il nuovo sole delle scienze applicate alle arti, onde i figli tuoi possono procacciarsi un sufficiente sostentamento, al quale ogni mortale ha diritto, con meno stenti e sudori e pericoli…. Cherso…isola abitata dagli Dei….

Che dire! Tomaso Luciani come Alberto Fortis si esprimono inequivocabilmente alla stessa maniera che potrebbe riassumersi con le parole del poeta dialettale chersino Aldo Policek in “Masiere” …..”vu se ‘l simbolo de Cherso!”

Tarcisio Bommarco