Sulla conservazione dell’ambiente, in generale si può osservare che gli studi e gli sforzi per la salvaguardia di un dato paesaggio possono essere indirizzati su territori mai contaminati dall’influsso dell’uomo oppure rivolti alla conservazione di ambienti dove il lavoro umano è stato preponderante.  Ma in Europa, l’ambiente naturale è stato umanizzato fin dalla fine dell’era glaciale, circa diecimila anni fa. Perciò il nostro interesse ricerca le ragioni dei mutamenti del paesaggio nel decorso storico in seguito all’insediamento umano, all’introduzione di nuove colture, causa principale dei terrazzamenti e della maggior entità di lavoro investito.IMG_8358

Rimane difficile precisare con un certo grado di attendibilità a quale periodo preistorico si possa collegare la comparsa dell’olivo e della vite sull’isola di Cherso. Gli studi pollinologici effettuati sull’isola di Melada ( Mlijet, Dalmazia meridionale) negli anni 60 confermano per di più l’ipotesi che la presenza di colture diverse sia legata all’insediamento umano. A Mlijet gli esemplari di polline ricavati dal lago salato di Malo Jezero e da quello di acqua dolce di Blatina Polje attestano l’assenza di attività umana nel Neolitico e nell’Età del Bronzo. L’olivo e la vite compaiono durante il periodo Greco-Romano 400 a.c.   Per quanto risulta da alcune ricerche condotte nel Mediterraneo Orientale, l’olivo, domestico e/o selvaggio è presente a Creta nel tardo Neolitico (4400-3500 AC). Nell’Età del Bronzo (2000-1500 AC) la cultura dell’olivo si è stabilizzata a Creta, ed in vicinanza di altre città del Peloponneso,  specialmente nel periodo Minoico, per poi diffondersi in altre regioni limitrofe attraverso un traffico marittimo divenuto più intenso.  Nello stesso periodo Cherso aveva un’alta capacità di ricezione colturale, in quanto dominata dalla civiltà dei castellieri presenti in diverse località dell’isola e prossimi ai centri che oggi sono Osor, Ustrine, Orlez, Filožići, Cres. Quanto questa coltura sia stata diffusa nell’isola è per il momento difficile da stimare. Gli studi di J. Ćus-Rukonic sull’ isola di Cres–Losinj confermano comunque questa capacità ricettiva e ammettono la presenza dell’olivo nel Neolitico anche se non in forme di “coltura agricola standardizzata”.  In linea di massima si può affermare che l’olivo, anche se per ora non disponiamo di osservazioni scientifiche esaurienti che lo comprovino, sia stato comunque presente nella vegetazione dell’isola di Cres-Cherso da tempi remoti, se non altro in quanto elemento comune della flora mediterranea e legato al terriotorio in seguito alla presenza di insediamenti umani. La stretta relazione esistente fra albero e uomo porta in genere ad una sempre maggior conoscenza delle qualità della pianta e ad una naturale selezione a favore degli esemplari che si dimostravano essere più validi. Il fatto che da millenni sia esistita una tale relazione, anche se non in forme di cosciente e pianificato utilizzo, è comunque una delle prerogative basilari per un futuro sfruttamento in forme più standardizzate.

L’architettura del paesaggio chersino, sua datazione

In linea di principio si può affermare che tutto l’insieme delle costruzioni in pietra (terrazze, recinti, muri di divisione, ecc.), parte dell’architettura del paesaggio, che oggi possiamo osservare, potrebbe essere la chiave per comprendere la cronologia dello sviluppo del paesaggio stesso. Formulato in questo modo il problema, in relazione al paesaggio cretese, i ricercatori Oliver Rackham & Jennifer Moody,  testualmente si rispondono: “we do not have that key” (non possediamo quella chiave). Con riferimento al paesaggio chersino, possiamo azzardare il presupposto che, in  alcune parti del territorio isolano certe costruzioni risalgano al Neolotico, altre all’Era del Bronzo, altre ancora al periodo greco-romano poichè erette in prossimità di centri abitati i quali non avrebbero potuto sussistere senza un attività economica (agricoltura, pastorizia) a loro prossima; le altre ulteriori, che costituiscono la stragrande maggioranza, stimiamo siano state erette durante i 400 anni del periodo veneziano ed i 130 di quello austriaco.DSC01775

Nonostante queste difficoltà alcuni metodi di ricerca ci permetterebbero egualmente di stabilire una più esatta datazione, se i rilievi fossero stati eseguiti, con il metodo del carbonio -14, su campioni di piante e radici in siti da tempo abbandonati, al fine di accertare l’anzianità di costruzione dell’artefatto in pietra che si presuppone antecedente all’età della pianta. Per le ricerche su insediamenti risalenti a tempi remoti possiamo ricavare così indicazioni importanti sull’età delle costruzioni, legandole ai reperti archeologici ed osteologici del luogo.

I castellieri            

Il Castelliere di S.Bartolomeo

Il Castelliere di S.Bartolomeo

Una circonstanza particolare che spieghi gli artefatti in pietra di Cres-Cherso può essere di aiuto se collegati ad edificazioni realizzate in ere molto remote. I castellieri costituiscono gli insediamenti più antichi presenti nell’isola; essi risalgono all’era del tardo Neolitico, nei quali, dalle osservazioni fino ad ora compiute (Carlo Marchesetti, Jasminka Ćus-Rukonic, Vladimir Mirosavljević, Nikola Stražičić), ed a quanto si può ancora ad oggi osservare, esistono recinti e muraglie che in alcuni casi sono simili a quelle che si trovano in altri siti dell’isola. I muri scoperti da alcuni archeologi negli anni 30 del secolo scorso nella località di Pukonjina (due file, una interna ed una esterna di massi, con nel mezzo pietrisco da riempimenento)  potrebbero rappresentare una prima edizione di quelli costruti fra gli oliveti, anche se come fattura e diversità di impiego sono molto distanti dalle strutture che sorreggono l’ulivo e la vite.

Le località di Lubenizze (Lubenice),Dragoseti (Dragošetići), La Sella (Predošćica), Filosici (Filožići) e Pernata rappresentano caratteristiche  somiglianti alla struttura dei castellieri che sono da considerare come insediamenti stabili. La teoria predominante che spiegava questi luoghi affermava che fossero stati edificati a scopo di difesa e temporanei.  Da studi recenti condotti nel settore della costa francese mediterranea risulta, che le installazioni sulle alture sono state costruite per ragioni ambientali e stabili poichè ritenute molto più salubri di quelle costiere infestate dagli insetti, causa le numerose secche e paludi. Solamente nel periodo romano  si riscontra un notevole spostamento delle dimore verso la costa, in seguito alle loro conoscenze sulla regolazione delle acque dei fiumi e sulla bonifica delle zone costiere malsane.

Nelle prossimità di dette località sono sempre presenti aree pianeggianti di non eccessiva estensione, ma sufficienti per la coltivazione di cereali, viti, legumi. I serragli e le masiere che li compongono danno l’impressione di essere stati costruiti più per la pastorizia che per l’agricoltura. In questo contesto non sarebbe del tutto erroneo supporre che il cambiamento del paesaggio chersino sia stato iniziato dalle alture dell’isola dove erano collocati i castellieri, per poi gradatamente scendere a valle.

Da un tale approccio alla problematica del cambiamento del paesaggio isolano si può  trarre  l’ulteriore conclusione che le due attività economiche principali, pastorizia ed agricoltura sono contemporanee, anche se con il passare dei secoli e degli anni la prima prevale sull’altra e viceversa. Tali indicazioni, riguardanti la complementarietà delle attività, sono d’altro canto presenti in Grecia già nel 400 prima di Cristo.

Relazione fra colture e terrazzamenti in era moderna

Per periodi storici più recenti non si trovano documentazioni dirette o notizie specifiche che riguardano i terrazzamenti; dobbiamo ricorrere a quanto riportato con riferimento all’introduzione e all’ incremento di diverse attività economiche e colture, quali indicatori della costruzione dei manufatti in pietra. Nei primi Statuti datati al 1300, che riportano usanze ancora più antiche, la pastorizia viene spesso nominata, ed a volte qualche muro che serva a dar ombra alle pecore, ma nulla che riguardi il terrazzamento a scopo agricolo. Petrisso de Petris riceve in data 4 febbraio 1504 il permesso di “redure desmesteghi” alcuni olivi selvatici nella Stanzia di S.Biagio e vista la buona riuscita di questa iniziativa alcuni anni più tardi (1508) l’affittanza venne estesa ad altre venti piante. Nel 1550 venne fondato il  Fondaco dell’olio per far fronte alla grande carestia del prodotto. Queste notizie fanno capire che “la coltura olivaria nei dintorni della città di Cherso non avesse ancora presa quella estensione che ebbe di poi”(C.Hugues in Cavallini “Lettera agli agricoltori di Cherso”). Nei primi decenni del XVII secolo Venezia decise di incrementare la produzione olearia ed estendeva la coltura alle regioni dell’Istria e della Dalmazia, per proprio interesse economico e per compensare la scarsità del prodotto proveniente in gran parte dalla Puglia. Dalla diretta consultazione dei libri del fontico ci aspettavamo una registrazione esauriente e dettagliata della produzione annua; al contrario sono state notate solo sporadiche vendite ed acquisti di limitate quantità d’olio nel priodo dei 21 anni (1616-1637) da noi osservato.DSC01699

Nel lavoro di Josip Vlahovic (conventuale francescano) la prima notizia riportata nei documenti dell’archivio del monastero risale al 1496 e registra l’affitto di una particella coltivata ad olivo, frutta e viti. In seguito i passaggi di proprietà e l’allargamento della superficie coltivata ad oliveto aumenta progressivamente, fino a raggiungere una coltivazione sistematica alla fine del XVI ed agli inizi del XVII secolo. Le osservazioni menzionate riguardano esclusivamente terreni di proprietà del convento, in diversi anni del 1600 (1652,1653,1682,1683) durante i quali vennero “scavate fosse” e piantati alberi di olivo. Nel citato lavoro viene descritto in maniera esauriente il frantoio in proprietà del convento: la sua produzione, l’entità della manodopera impiegata e sua rispettiva retribuzione. Veniamo inoltre a conoscenza l’ammontare dei frantoi a Cherso che nel 1668 erano nel numero di tre e di sette nel 1698. Dai dati raccolti il Vlahović deduce che all’inizio del 1608 i frantoi a Cherso erano solamente due, quelli del monastero dei frati e delle monache benedittine; non esclude d’altro canto la possibilità di una produzione olearia con metodi in “antico modo semplice”. Dalla stessa fonte veniamo inoltre a sapere che la conseguente estensione del terreno coltivato a tale proposito si sviluppa lentamente dagli ultimi decenni del XVIII secolo, durante il periodo veneziano, lentezza causata (secondo lo stesso autore) dal continuo conflitto con la pastorizia e dalle decisioni del Comune che temeva per la salute degli abitanti, nel caso non fosse assicurata una sufficiente fornitura di carne.

Quando il Fortis nel 1770 approda sull’isola (A. Fortis,Saggio d’osservazioni sopra l’isola di Cherso-Osero, 1771)   si gode “il più bello spettacolo” del giardino nella baia di Cherso:  “nella varietà della verdura degli ulivi, delle viti, e de’ seminati, che da lontano formano tutto un campo pezzato di gradazione di colori differenti, è uno spettacolo dilettevole oltre ogni espressione”. La panoramica dell’abate oltre ad esprimere l’ammirazione per l’operosità degli agricoltori descrive la varietà delle colture che occupavano i terrazzamenti, anche se dall’entità della produzione oliearia calcolata da 1932 a 2257 ettolitri annui si può dedurre che l’ulivo fosse la pianta predominante.

Un incremento rilevante della coltura olearia ebbe luogo dopo il 1797 con la ripartizione dei terreni da “scavare” nella zona di Ponta Grassa che corrisponde all’area che dall’odierno faro verde si estende fino all’insenatura di Nedomisje. Il maggior sviluppo si riscontra nell’Ottocento con annate più o meno ricche di olive. Nel 1853 la produzione totale ammontava a 2000 barille e nel 1868 24 frantoi erano attivi da novembre a giugno.DSC01708

Se fino ad ora ci siamo principalmente occupati della produzione olearia che per diverse ragioni, legate al clima, terreno, mole di lavoro   richiesto, interessi veneziani, e durante certi periodi, anche convenienza economica, dobbiamo tener conto che la viticoltura e la vinificazione sono state per molti secoli importante risorsa economica. Per i secoli addietro non disponiamo di dati che si riferiscano all’estensione dell’area coltivata a viti e della quantità del vino prodotto, conosciamo però attraverso quanto riportato nei Libri dei Consigli che spesse volte i cittadini si lamentavano del basso prezzo del vino, che era immutato durante due secoli e delle continue decisioni prese dallo stesso Consiglio per l’assegnazione della riscossione del dazio del vino al miglior offerente dopo un asta. In un periodo anche recente i vigneti occupavano la parte alta del monte che sovrasta il centro cittadino, per poi essere sostituiti dalla coltivazione del crisantemo per la produzione del piretro naturale.

La” Lettera agli agricoltori di Cherso” del Cavallini (1900) è una chiara esortazione a non ulteriormente ostinarsi alla coltivazione della vite e a trascurare quella dell’ulivo poichè alla fine non avranno nè l’una nè l’altra e si troveranno in miseria. La ragione per la quale i chersini, durante il periodo di un ventenno o trentennio alla fine del XIX secolo, si erano dedicati attivamente alla viticoltura era dovuta alla fillossera che aveva distrutto i vigneti dell’Europa occidentale e non si era ancora diffusa nelle regioni dell’Istria e della Dalmazia. Data la conseguente scarsità, il prodotto veniva venduto a prezzi di mercato convenienti. L’esortazione esplicita del Cavallini e del prof. Carlo Hugues è di non piantare nuove viti americane che richiedono un suolo più profondo e quindi maggior scasso, denari e lavoro; “quando invece vi metteste subito a potare gli olivi le cose potrebbero mutare in meglio prestissimo”e il professore aggiunge: e fare così tesoro dell’eredità lasciata dagli antenati. Quanto detto fin d’ora indica che la trasformazione del paesaggio ha subito sorti alternative, con riferimento al tipo di coltura, e che la necessità di lavorare il terreno non va riferita ad una sola coltivazione, ma alle esigenze del momento che variano nei secoli. Alla fine la coltura dell’ulivo ha avuto la prevalenza. Valutiamo che sia avvenuta gradatamente e non può essere  esclusivamente collegata ad un preciso evento o a una determinata data. Siamo ancora dell’avviso che parte di detta trasformazione sia antecedente al XVI secolo, anche se la coltura allora in atto può essere stata di altro tipo ad esempio viticoltura.