Un tesoro nascosto
Bruxelles aprile 2013
Christian Catomeris, giornalista e scrittore. Corrispondente della televisione svedese per l’Europa
”Nella mia lingua, lo svedese, che volentieri compone parole accatastandole una all’altra, al pari delle pietre nella costruzione di un muro c’è un’espressione che ben si addice alla prima impressione che il visitatore riceve di Cres-Cherso: “bergtagen”, preso dalla montagna. Bergtagen, termine scandinavo significa al giorno d’oggi venir incantato, ma nella mitologia popolare nordica bergtagen esprimeva l’idea di creature soprannaturali capaci di attirare gli esseri umani alle proprie dimore nella montagna o nei meandri sotterranei per mutare la loro natura in eterno. Appunto, chi arriva a Cres-Cherso via mare – altre valide alternative non ci sono! – viene spesso appunto incantato dall’imponente curvatura, a mo’di dorso di dinosauro, che s’ innalza dalla limpida superficie del mare, dalla quiete che regna appena si lascia la terraferma e dai reflessi cangianti della luce la cui bellezza è … abbagliante. In vista dell’isola, le percezioni sono così totalizzanti, anche per un attento osservatore qual’è il candidato Nobel e scrittore Claudio Magris (Microcosmi 1997), da non accorgersi delle diverse e particolari macchie grigie lungo i fianchi del monte, macchie che rendono i pendii a sembrare logorati e quando scorrono giù per la montagna danno l’impressione di alvei prosciugati.
Una volta a terra si scoprono altre formazioni grigie lunge le pendenze, alle volte in forme regolari, simili ad un antica dimora venuta alla luce dopo uno scavo archeologico, oppure scalinate di un antico teatro sommerso dalla sovrastante vegetazione. Per chi è riuscito a liberarsi dalla stretta avvincente dell’acqua, del cielo, della luce,dopo poco si accorge di essere intimamente cambiato.
A prima vista la complessità e l’insieme delle formazioni calcaree, all’inizio non definibile, ad una più attenta osservazione si dimostra essere frutto della mano dell’uomo. Tutto il grigio, sono pietre poste lì dalla mano dell’uomo! Milioni di pietre sottratte alla terra, sollevate e spostate a volte alcuni metri, altre volte trasportate per più lunghi percorsi dalla loro naturale dimora, per formare terrazze, recinti, orti, limiti, ammucchiate pietrose, oppure vere e proprie dimore. Dall’interno della terra s’innalza una struttura frutto del lavoro di un centinaio di isolani, così imponente nella sua testarda estensione che ci ricorda progetti di dimensioni faraoniche paragonabili alle piramidi . Il pensiero si associa a Sisifo. Più che naturale. Sisifo, l’ingannevole re di Corinto dell’antichità, punito dagli dei a spingere un masso su per i pendii di una montagna; raggiunta la meta il masso regorlamente rotolava a valle, Sisifo per volontà divina, ostinatamente ripeteva l’interminabile fatica. Albert Camus, nel suo saggio filosofico (Le mythe de Sisyphe 1942), richiamandosi a questo mitico monarca disquisisce sull’assurdità dell’esistenza umana e sulla necessità di rivolta e come se volesse idealmente rivolgersi all’agricoltore chersino, scrive “…Quest’universo ormai senza padrone, non gli appare nè sterile nè fertile. Ogni granello di pietra, ogni bagliore della montagna, ammantata di notte, formano il suo mondo. La lotta stessa verso la cima basta a riempire il cuore dell’uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”
Nel mondo moderno, gli agenti pubblicitari ed altri propagandisti omettono di solito le tribolazioni e la fatica umana. In uno degli uffici turistici di Cres-Cherso uno slogan strombetta il suo messaggio: “45.mo parallelo – the best zone for life”. Lo stesso 45.mo parallelo taglia l’isola dagli infiniti muri, dove i figli di Sisifo nel silenzio hanno effettuato, per sopravvivere opere grandiose. Impulsivamente si vuole urlare indicando i dintorni della città verso i pendii … ma le pietre! Non vedete le pietre?
È ora di scoprire le pietre, rendersi conto del paziente lavoro degli antenati per dare un senso alla loro vita e per mantenersi lottando . La resistente pianta dell’ olivo, le limitate oasi verdi, dove le pecore ancora brucano sono dei piccoli miracoli, zone pregne del silenzioso e faticoso lavoro di generazioni. Questa apparentemente,”grigia” opera che splende così bella ai raggi del sole in contrasto al rosso della terra, al verde dei pini e dell’azzurro del cielo e del mare, è lavoro e monumento di umile ostinazione. Credo di sapere che, così come un profondo sentimento non esternato forma la nostra vita, il sommo piacere della loro opera è stato interiorizzato nell’animo dei Chersini poichè nessuno ha chiesto e dimostrato amore per quanto hanno fatto. “Tu sei Pietro, roccia/pietra e su questa pietra edificherò la mia chiesa”, recita il vangelo di Matteo. Gli abitanti di Cres-Cherso non hanno costruito una chiesa, ma opere paragonabili ad un santuario, ad una cattedrale in campo aperto, di dimensioni tali delle quali ancora non ci si rende conto, ma che devono essere apprezzate, preservate e curate per le generazioni future. Anche lo straniero che per caso arriva a Cres-Cherso ed è “preso dalla montagna” e dalla prima impressione di bellezza dell’isola, deve essere aiutato a porre attenzione ai tesori che l’isola nasconde.”
Un paesaggio culturale da preservare
L’osservatore che per caso si addentra nel paesaggio rurale, poco fuori dal centro cittadino, non può che stupirsi davanti all’enorme estensione dell’ accumulo pietroso che si espande, “fina indove che l’ocio pol guardar xe masiere…. miliardi de piere grige e bianche/ su par le gobe, so par le calanche ” (Masiere, Policek ) e formano una scala tra terra e cielo.
Le geometrie luminose delle strutture in calcare, naturale, policromo grigio sapientemente ordinato durante i secoli dalla mano del contadino chersino, si adagiano sulla collina che circonda il centro cittadino e scendono gradatamente fino a confondersi e fondersi con i policromi marini. Ma non è pura amenità visuale. Al contributo di una terra carsica e povera, fornito dalla natura, si è sostituito il lavoro sapiente e faticoso dell’agricoltore chersino il quale per nesessità ha dovuto trasformare il proprio ambiente. Il territorio coltivato racchiude in se scelte sociali ed economiche anch’esse peculiari all’isola che, oltre ad adattare il suolo e rederlo fertile, ha influito sulle relazione fra gli individui legandoli strettamente al loro habitat.
L’insieme di tutte le strutture architettoniche che hanno contribuito all’esercizio di diverse colture e contribuiscono tuttora alla coltura dell’ulivo, sono “un esempio eminente dell’interazione umana con l’ambiente” come recita uno dei criteri dell’ UNESCO che definisce i siti di particolare importanza naturale e culturale. L’opera dell’uomo su questo spazio dell’area quarnerina ben si accorda a questa definizione ed a buon diritto può essere considerata unica per estensione, qualità e mole di lavoro nell’Adriatico e nel Mediterraneo.
Questo ambiente agricolo culturale frutto di una esperienza millenaria, che domina con forme e strutture diverse tutta l’isola, in particolar modo i dintorni del Centro cittadino, si trova ora in uno stato di dimenticanza e degrado. Tutela e salvaguardia del territorio culturale sono necessità urgenti se non si vuole andare incontro all’abbandono totale ed alla perdita di un patrimonio umano unico. La presentazione attuale si prefigge lo scopo di richiamare all’attenzione dei residenti e dei visitatori a considerare che sono stati i Chersini a formare il loro territorio e che tutto quello che vediamo non è altro che l’edificio culturale da loro costruito durante secoli se non millenni. Il paesaggio, quindi, va oltre la dimensione estetico – percettiva. Esso racchiude in sè valori storici, ecologico ambientali, tecniche di costruzione, aspetti socio-economici che si riferiscono al passato, ma validi anche al presente. I benefici che si possono trarre dalla valorizzazione di questo scenario culturale oltrapassano un limitato beneficio materiale ; acquistano maggior valore per i Chersini stessi se riconosciuti come parte della “memoria culturale collettiva” e la loro conoscenza si trasforma in “garanzia di avvenire”.